Vi parlerò di Scala di Borg, Session RPE, Monotony index, Strain. Parole grosse che devono essere argomentate, parto da alcune evidenze ed esperienze come atleta ed allenatore di Triathlon. Mi sono dedicato negli anni a trovare il modo migliore per quantificare e gestire i carichi allenanti al fine di migliorare la performance. Tutti i metodi li conosco ed applicati per rendere oggettivo l’allenamento. Però mi sono sempre imbattuto in risultati diversi ottenuti in gara. La maggior parte delle volte sorpreso positivamente, sono andato meglio di quanto avessi programmato in allenamento. Nel nostro gergo si dice che quello che fai in gara non riesci mai a farlo in allenamento. Verissimo, però nessuno si è mai chiesto com’è possibile questo?
Mi spiego meglio. Ho fatto tanti test, sia in laboratorio sia sul campo, per determinare le mie soglie, famosa soglia anaerobica. Il letteratura (almeno fino a qualche anno fa) si dice che raggiunto un accumulo di lattato circolante pari a 4 mmoli/l si inizia una fase in cui l’atleta sarà costretto a fermarsi o rallentare per la fatica. Il valore dei vari test ha determinato che io ho una soglia tra i 158 e 160 BPM, convenzionalmente io uso 159 facendo una banale media dei vari risultati. Questa soglia non cambia da decenni ormai, sarà molto vicina ai miei limiti genetici. Poi inizio a fare gare di Triathlon brevi e concludo le medesime con un BPM costantemente sopra 164 BPM con media vicino a 166 BPM, per durate che vanno dai 75 minuti a 150 minuti, come si spiega?
Finalmente in questi ultimi anni molti ricercatori hanno sfatato questa soglia dei 4 mm/l di lattato. L’unica soglia reale è la capacità di resistere allo sforzo, per cui il vero limite non è fisico ma mentale. Per questo in gara si fa sempre di più degli allenamenti. La competizione, la tattica, il contesto competitivo ci permette di annullare i limiti che ci siamo posti convenzionalmente attraverso i test. Inoltre questi stessi studi hanno verificato che ognuno può migliorare i limiti fisici cambiando la percezione del proprio sforzo, se il nostro cervello capisce che è uno sforzo che si può sostenere cambia la nostra fisiologia. In oltre si è visto che l’atleta ben addestrato in questo riesce a percepire da solo la soglia che può tenere. Soglie che sono mutevoli anche nello stesso soggetto.
Ho fatto questa introduzione per il semplicemente perchè io non credo nelle formule che determinano i volumi degli allenamenti con dati oggettivi, determinati da strumenti esterni e tecnologici, per lo meno non è sufficiente considerare solo questi. Anche se super precisi ormai, li uso ma per valutare altri dati, ma non per determinare lo stress acuto e cronico che il volume degli allenamenti può determinare. I dati che ritengo validi ed utili sono quelli che l’atleta stesso percepisce durante i vari allenamenti. Se l’atleta inizia ad accumulare stanchezza darà un valore di fatica percepita maggiore e viceversa. Con gli strumenti esterni questo potrebbe non essere così, gli atleti sono fanatici ed ossessivi, anche se stanchi riescono sempre a portare a termine l’esercizio e il risultato finale sarà in linea con quelli precedenti, anche se l’atleta ha subito maggiormente l’esercizio rispetto alla volta precedente.
Mi fido molto di più di strumenti di Bio-feedback che rilevando l’attività del sistema nervoso autonomo ci indica la vera omeostasi dell’atleta, I segnali del cervello e del cuore che non sbagliano mai. Inoltre sono segnali e dati individuali, personali e non replicabili su nessun’altro.
Fatta questa premessa ora arrivo all’oggetto di questo mio post. Un metodo a costo zero ed alla portata di tutti è stato utilizzato dagli anni 50, oggi è ancora utilizzato da tutti i ricercatori per le loro ricerche. Si parte dalla scala di Borg, il quale ha creato una scala (io uso quella semplificata da 0 a 10) che identifica lo sforzo percepito dall’atleta alla fine dell’allenamento, detto anche RPE (Ratings of Perceived Exertion). Dove 1 è nessuno sforzo e 10 è uno sforzo massimale. Questo metodo lo trovo utilissimo perché è l’unico che ci da la possibilità di quantificare lo sforzo soggettivo dell’atleta, come su detto. Lo stesso esercizio può dare un risultato oggettivo uguale a diversi atleti, però ognuno avrà una percezione dello sforzo diverso, dalla loro condizione di forma, dalla abitudine di fare certi allenamenti, lo stesso atleta può avere una percezione diversa sullo stesso esercizio fatto in periodi diversi. I fattori possono essere molteplici, ma non ci interessano in questo momento.
Una volta rivelato uno sforzo di 7 da parte dell’atleta possiamo moltiplicare questo valore soggettivo di sforzo per i minuti trascorsi durante l’allenamento, questo ci determina il volume dell’allenamento. Questo parametro viene chiamato Session RPE. Con questo valore si può determinare il volume settimanale dell’allenamento, visto dallo sforzo dell’atleta e non dai dati oggettivi tipo km percorsi o altro. Facile capire come sia importante per capire quanto l’atleta si senta stressato e carico durante la stagione, al diminuire della Session RPE vuol dire che l’atleta ritiene che non si stia affaticando troppo, all’aumentare della Session RPE significa che l’atleta inizia a sentire l’accumulo dei carichi allenanti. In questo modo si possono gestire i carichi futuri da somministrare. Se sommiamo tutti i Session RPE della settimana e la dividiamo per la deviazione standard dei singoli Session RPE giornalieri abbiamo un indice chiamato Monotony index che ci indica quanto gli allenamenti sono simili nella settimana. Se il valore è pari a 1 ci indica che la settimana è stata piuttosto piatta, cioè la percezione di fatica è in linea con la media degli altri allenamenti. Se l’indice è superiore a 1 vuol dire che il volume degli allenamenti settimanali è stato più alto degli allenamenti precedenti, e di conseguenza un Monotony index basso indica una diminuzione nel volume degli allenamenti. Un Monotony Index basso può essere cercato per recuperare da un periodo molto stressante, oppure cercare di alzare l’indice è voluto perché stiamo perdendo performance oppure siamo in un periodo di carico. Moltiplicando la Session RPE per il Monotony Index abbiamo un valore detto Strain, con un aumento eccessivo dello Strain ci segnala un periodo di forte stress e che può provocare una fase di overtraining e/o infortunio, Una diminuzione può indicare un periodo di decadimento della performance. Per cui se abbiamo un periodo di alto Monotony index e Strain dobbiamo diminuire i volumi, al contrario dobbiamo aumentarli. Questa metodica è uguale a tutte le altre, però con questo metodo si ha un valore molto soggettivo di percezione di fatica dell’atleta piuttosto che di dati oggettivi esterni. A mio avviso sono più attendibili, ovviamente non ho la pretesa di essere la verità, però a me ha funzionato sempre molto bene, meglio di altri metodi.
Ci si può spingere oltre, calcolando i dati per ogni sport praticato. Nel nostro caso il Triathlon, quindi Run – Bike -Swim.
Altra considerazione importante è che questo metodo è a basso costo ed è alla portata di tutti e per tutti gli sport. Non poco quando devi seguire diversi atleti che possono avere attitudine alla tecnologia diversa.
Vito Nacci
Endurance Coach