Allenamento POLARIZZATO il MIO preferito

Ho voluto questo titolo per il post per chiarire da subito che esistono tante metodologie di allenamento, non esiste la migliore in assoluto, per la mia esperienza, questa metodica è quella che mi ha dato più soddisfazioni, per cui è la MIA preferita. Ho sempre avuto la fortuna e/o merito (dipende dai punti di vista) di allenare atleti molto performanti, sempre migliori di me (non ci vuole molto). Tutti hanno del passato di ottimi livelli di performance e trovare il modo di migliorare uno già forte è stimolante. Ti toglie il sonno per i pensieri e ti obbliga a studiare metodi sempre nuovi con l’obiettivo del miglioramento della performance. Prendere un gruppo di atleti neofiti e/o sedentari e portarli a concludere una gara è complesso, ma mai quanto migliorare uno già forte.

Come mia abitudine ho studiato, ho provato su di me, ho sperimentato su un piccolo gruppo di atleti, solo quando i dati sono in linea e ripetibili lo faccio diventare uno standard, una delle mie routine d’allenamento. Sono ormai anni che mi alleno ed alleno con questo metodo, l’unico che mi permette di avere due vantaggi: Migliorare la performance atletica (in particolar modo a chi è già performante), Migliorare la longevità atletica (soprattutto se si parla di Master).

Fatte queste dovute premesse cercherò di spiegare in cosa consiste, cercando di sintetizzare un concetto che meriterebbe un libro e non un post, senza togliere niente alla comprensione dell’argomento. Il metodo Polarizzato consiste nel passare l’80% dell’allenamento in una zona blanda e solo per il 20% in una zona intensa. Detto così non dice niente di nuovo rispetto agli altri metodi. Invece la differenza pur essendo sottile è determinante. Il tutto si traduce sulla individuazione dei ritmi bassi ed alti, la differenza è tutta qui. Le prime informazioni che si hanno su questo metodo partono da molto lontano, inizialmente era una osservazione di alcuni Coach illuminati, col passare degli anni la tecnologia a disposizione (gps, hr, hrv, watt, etc)  ha permesso di convalidare queste osservazioni con dati inconfutabili. Ultimo lavoro degno di nota in questa direzione è stato fatto, poco tempo fa,  su un database enorme come quello degli utilizzatori di Strava, migliaia di persone che si allenano in tutto il mondo. Merito è di Marco Altini, scienziato dei numeri. Il quale da buon statistico ha pulito i dati di Strava, eliminando i casi evidentemente errati e classificandoli, ha convalidato questo metodo rendendolo statisticamente provato, direi scientifico, ormai.

Si è notato che gli atleti d’elite si allenano a ritmi più lenti e nello stesso tempo più intensi degli amatori, anche quelli più evoluti. In definitiva non corrono mai in determinate zone (ritmi, battiti, watt in base a quello che si utilizza). Gli atleti d’elite sono arrivati ad allenarsi in questo modo per istinto, sembra essere una prerogativa di chi corre forte in gara, ora sappiamo anche perché. Come mi piace citare, gli atleti scoprono cosa funziona, dopo arrivano gli scienziati a spiegare perché funzione. Questo ne è un esempio.

Entriamo nel merito della questione. Esistono due zone in cui la percezione dello sforzo non corrisponde con quello veramente erogato. Esiste una linea o zona bassa ed una alta. In tutti i libri e articoli che troverete sull’argomento vengono identificate con le zone x e y. Io invece le ho rinominate Zona ombra bassa e Zona ombra alta. Proprio per enfatizzare quelle zone dove non è consigliabile allenarsi. Gli atleti d’elite le evitano più o meno per istinto, gli amatori li utilizzano per ogni loro allenamento.

La sensazione di fatica è regolata da un meccanismo molto complesso (non spiegabile qui con poche parole), le soglie aerobiche e lattacide che vengono prese in considerazione da tutti gli atleti ed allenatori per identificare le intensità di allenamento, sono percepite prima di raggiungerle dall’atleta. E’ un meccanismo fisiologico che esiste perché il corpo si protegge dal raggiungere dei picchi che potrebbero essere pericolosi (è un meccanismo perfetto che ci ha permesse di evolverci facendo sopravvivere la specie). Questa sensazione condiziona i ritmi degli atleti di qualsiasi livello di competenza.

La sensazione di fatica si comporta in modo diverso ed inverso nelle due zone bassa ed alta. Nella zona bassa si avverte la sensazione di non allenarsi, andare talmente piano che non ha senso. Nella zona alta invece, si avverte una stanchezza che ci fa credere che non si può andare oltre. Quindi a differenza degli atleti elite si traduce in una corsa da lenta a moderata e da intensa a difficile. Si corre in un limbo che ci da confort. Però queste zone ci affaticano come stress fisico, dal quale ce ne usciamo con più difficoltà, e non ci danno nessun miglioramento della performance atletica. In poche parole ci stanchiamo di più e ci miglioriamo di meno. La domanda provocatoria sarebbe:

Allenarsi “PIANO” per gareggiare “FORTE” o allenarsi “FORTE” per gareggiare “PIANO” ?

Credo che la risposta sia scontata. Questo metodo permette di migliorare la performance atletica senza affaticare il sistema “UOMO”. Migliorando anche la propensione agli infortuni e quindi la longevità atletica.

Credo che è capitato a tutti, o comunque di aver visto, atleti che si allenano con ritmi da paura e non avere la stessa resa in gara. Si arriva alla gara stanchi e svuotati. Al contrario vedere atleti che si ha la sensazione che non si allenino mai ed in gara vanno più forte di noi. Sicuramente adottano questo metodo, magari senza saperlo.

Le zone d’ombra sono ben conosciute e si possono calcolare, tutti gli allenamenti devono tenerne conto, impegnandosi a non passare molto tempo in queste zone . Bisogna passare l’80% dei nostri allenamenti al di sotto della soglia d’ombra bassa e il 20% sulla zona al di sopra della zona d’ombra superiore. Vi assicuro che è difficilissimo, sia andare piano sia andare oltre le nostre sensazioni di fatica massimale. Ma questo ci permette di andare oltre i nostri limiti senza dare troppo stress al nostro fisico. In altre occasioni ho scritto delle ricerche fatte da Tim Noakes che ha verificato che il limite da tutti utilizzato per identificare la soglia anaerobica (4mmol/l di lattato nel sangue) è molto aleatoria e variabile, si può superare e tenere un ritmo superiore a lungo solo alzando la nostra capacità di leggere le sensazioni di fatica. Andando oltre questo limite, anche se per periodi brevi, permette al nostro cervello di capire che si può alzare l’asticella. Io credo in questo lavoro altrimenti non mi spiegherei come possa tenere per oltre 2 ore in un triathlon olimpico una media bpm sopra alla soglia, calcolata sia con test da campo che da laboratorio, per studio e libro di fisiologia dello sport questo non sarebbe possibile.

Tutto quello sopra descritto è valido per qualsiasi sport di endurance, certo le cose si complicano quando ci si allena su uno sport multidisciplinare con il Triathlon, ma il concetto è lo stesso. Faccio alcuni esempi sulle mie zone calcolate per la corsa, come potete vedere sulla foto sotto. Io corro seguendo i watt, per cui nelle zone identificate con x ed y non programmo nessun allenamento.

zone-polarizzate-mie

Per esempio posto la foto con delle zone calcolate ipotizzando un atleta che ha come suo ritmo funzionale 5 m/km per far notare come la maggior parte degli atleti si allena nelle famose zone x ed y quando deve correre piano e veloce.

zone-polarizzate-esempio-passo

Ho cercato di sintetizzare l’argomento per non dilungarmi, già così è venuto fuori un post corposo. Come al solito se volete approfondire potete studiare sui vari siti specializzati o libri, oppure potete contattarmi per chiarimenti.

Vito Nacci
Endurance Coach